La ragazza senza nome







regia
Jean-Pierre Dardenne
Luc Dardenne
aiuto regia
Caroline Tambour
sceneggiatura
Jean-Pierre Dardenne
Luc Dardenne
fotografia
Alain Marcoen
montaggio
Marie-Hélène Dozo
scenografia
Igor Gabriel
costumi
Maïra Ramedhan-Levi
trucco
Natali Tabareau-Vieuille
suono
Jean-Pierre Duret
Benoît De Clerck
Thomas Gauder
interpreti
Adèle Haenel... Jenny Davin - la dottoressa
Olivier Bonnaud... Julien - lo stagista
Jérémie Renier... padre di Bryan
Louka Minnella... Bryan
Christelle Cornil... madre di Bryan
Nadège Ouedraogo... cassiera del "cybercafé"
Olivier Gourmet... figlio del signor Lambert
Pierre Sumkay... signor Lambert
Yves Larec... dottor Habran
Ben Hamidou... ispettore Ben Mahmoud
Laurent Caron... ispettore Bercaro
Fabrizio Rongione... dottor Riga
Jean-Michel Balthazar... paziente diabetico
Thomas Doret... Lucas
Marc Zinga... protettore
Morgan Marinne... gruista nel cantiere 
Sabri Ben Moussa... il piccolo Ilyas
Ange-Déborah Goulehi... la ragazza sconosciuta
Timur Magomedgadzhiev... amico dell'uomo ferito alla gamba
(…)
produttore
Jean-Pierre Dardenne
Luc Dardenne
Denis Freyd
Delphine Tomson (produttrice esecutiva)
Peter Bouckaert (co-produttore)
Bart Van Langendonck (co-produttore)
Philippe Logie (produttore associato)
Arlette Zylberberg (produttore associato)
produzione
A Les Films du Fleuve
Archipel 35
Savage Film
France 2 Cinéma
VOO and Be tv
RTBF (Télévision Belge)
distribuzione internazionale
Wild Bunch
distribuzione italiana
BIM Distribuzione






Il malessere e il profondo disagio contemporaneo è talmente intenso da non essere neanche percepito, nonostante ciò lo sconvolgimento epocale a cui siamo destinati va fuori dalla portata dell’immaginazione e ignorarlo risulta più comodo. È automatico pensare alle ultime ondate migratorie verso l’Europa, dove molte persone nel tentativo di raggiungere la possibilità di una vita migliore, trovano una anonima morte.

Il film pare sia uscito malconcio dall’esame critico ricevuto al Festival di Cannes, per questo motivo i fratelli Dardenne hanno deciso di ritornarci sopra rimontandolo e tagliando alcuni minuti: la versione distribuita in sala ha una durata di 106’ in luogo dei 113’ originali. Alcuni hanno attribuito alla recitazione della protagonista mancanza di ritmo, altri ne hanno esaltato le doti interpretative, sta di fatto che in realtà il cinema dei fratelli belgi è un po’ sempre lo stesso, iperrealistico, indagatore delle abitudini umane dei singoli, un cinema affascinato dai diseredati e i perdenti, dagli ultimi, siano essi stranieri, migranti, operai precari, donne sfruttate. Probabilmente in molti vi leggono una attitudine destinata a creare teoremi morali e noiose tesi socio-politiche superate dalla Storia però e sempre un cinema puro, ben fatto, ineccepibile e nonostante gli alti e i bassi è un cinema necessario.


PRESSBOOK__________________________


CONVERSAZIONE CON JEAN-PIERRE E LUC DARDENNE

Com’è nato questo film, la storia di una giovane dottoressa?
Jean-Pierre Dardenne (JPD): All’inizio, c’era solo il personaggio di una dottoressa che chiamavamo Jenny. Ne abbiamo parlato per diversi anni. Una dottoressa che si sente responsabile della morte di una giovane immigrata non identificata, e che cerca di scoprire il suo nome perché non venga sepolta in forma anonima e non scompaia come se non fosse mai esistita.
Luc Dardenne (LD): Jenny si sente colpevole, responsabile. Si rifiuta di non fare niente, si rifiuta di dire: “Io non ho visto niente, io non ho sentito niente…”.

Jenny si prende cura dei suoi pazienti, ascolta i loro corpi. Era importante, per voi, registrare questo aspetto?
LD: Sì, certamente. I personaggi manifestano diverse reazioni psicosomatiche: attacchi di vertigini, mal di stomaco, crisi epilettiche… Il corpo risponde sempre per primo: parla, esprimendo cose che non riusciamo a dire con le parole. Jenny entra in sintonia con la sofferenza dei pazienti. E mentre cerca di aiutarli, continua le sue indagini per ricostruire l’identità della ragazza morta, la sconosciuta.
JPD: Volevamo che Jenny fosse una persona capace di ascoltare le parole e i corpi dei suoi pazienti. Questa sua capacità di ascolto fa di lei una “levatrice della verità”, e dell’ambulatorio un confessionale.

Vi siete documentati incontrando medici veri?
LD: Una dottoressa che conoscevamo bene ci ha fatto da consulente mentre scrivevamo la sceneggiatura. E’ anche venuta sul set per aiutarci nelle scene mediche. Inoltre, alcune scene sono liberamente ispirate a storie che ci sono state riferite da altri medici.

All’inizio del film, Jenny dice a Julien, il suo tirocinante: “Dobbiamo sempre essere più forti delle nostre emozioni”. Ma quello che succede dopo sembra contraddire questa affermazione, almeno in parte.
LD: Come qualsiasi medico, Jenny non deve affidarsi alle emozioni per fare una diagnosi medica; ma quelle stesse emozioni possono servirle a capire e aiutare i pazienti. E ancora di più nelle sue indagini per scoprire l’identità della ragazza senza nome.

A modo suo, anche Jenny è una “ragazza senza nome” in un certo senso. Non sappiamo niente del suo passato o della sua vita personale.
JPD: La vediamo fare una scelta di vita: rifiuta un’opportunità di lavoro molto redditizia per continuare a fare il medico in quella banlieu, perché lo ritiene l’unico modo per scoprire il nome della ragazza. Non ci sembrava necessario aggiungere altro. Lascia per sempre il suo appartamento per trasferirsi dove lavora e rifiuta un’ottima proposta di lavoro ottimo lavoro per continuare a fare il medico di base in periferia. Non c’è bisogno di sapere nient’altro, di lei. In alcune precedenti stesure della sceneggiatura c’erano più riferimenti alla sua vita personale, ma alla fine quei dettagli ci sono sembrati inutili per raccontare la nostra storia.
LD: Jenny è ossessionata, quasi “posseduta”, da quella ragazza sconosciuta: per questo è così paziente e determinata nelle sue indagini. La sua non è una possessione soprannaturale, ma morale. E’ questo che ci interessava.

I pazienti di Jenny sono tutti vittime, anche se in  misura diversa, della crisi globalea: insicurezza economica, distruzione del tessuto sociale…  
LD: Questi personaggi esistono nel qui e ora. Appartengono a quella parte della società che è stata brutalmente esclusa, ma non volevamo farne dei “casi sociali”. Sono individui.

La ragazza senza nome è ambientato nella provincia di Liegi. 
JPD: E’ dai tempi di La promesse, cioè dal 1996, che giriamo lì tutti i nostri film. E ancora prima di scrivere la sceneggiatura – quando ancora avevamo in mente solo il personaggio della dottoressa – sapevamo già che avremmo girato vicino all’autostrada e alla Mosa. In un certo senso, la location è venuta prima della sceneggiatura.
LD: L’autostrada ci ispirava. Le auto passano senza sosta e sfrecciano via veloci, un po’ come il mondo segue il suo corso, senza accorgersi di quello che accade nel piccolo ambulatorio di Jenny.

Dopo aver lavorato con Cécile de France in Il ragazzo con la bicicletta e con Marion Cotillard in Due giorni, una notte, questa volta avete diretto Adèle Haenel… 
LD: Abbiamo incontrato Adèle a Parigi, quando ha vinto un premio per il film Suzanne. Dopo avere scambiato con lei solo qualche parola, abbiamo deciso di affidarle il personaggio della dottoressa. E’ stata capace di incarnare la vitalità della giovinezza, ma anche la sua ingenuità, un’innocenza capace di aprire anche i cuori più duri.
JPD: Abbiamo fatto quattro settimane di prove con i nostri attori, prima di cominciare le riprese. Non solo letture, ma prove sul set lavorando sulle situazioni e i movimenti. Adèle è stata presente tutti i giorni in questa fase cruciale, sempre facendo domande e proponendo idee. E’ al tempo stesso spontanea, imprevedibile e scanzonata. Con la sua creatività ci ha suggerito soluzioni a cui da soli non saremmo arrivati.

Avete scritturato anche i vostri attori-feticcio Olivier Gourmet e Jérémie Renier.
LD: E’ sempre un piacere lavorare con loro. In questo film abbiamo voluto anche Thomas Doret, che interpretava Cyril in Il ragazzo con la bicicletta, Morgan Marinne che era Francis in Il figlio e Fabrizio Rongione con cui avevamo già lavorato diverse volte. Ci siamo trovati molto bene anche con Olivier Bonnaud, un giovane attore francese che è stato un’autentica rivelazione.




UNA CONVERSAZIONE CON ADÈLE HAENEL

Che cosa significavano per lei i fratelli Dardenne prima di girare La ragazza senza nome?
I Dardenne occupano senz’altro un posto importante nella storia del cinema contemporaneo. Non avevo visto tutti i loro film – poi però mi sono rimessa in pari! – ma ne conoscevo alcuni che mi avevano molto colpito, tra cui La promesse e Due giorni, una notte. Ho sempre interpretato film d’autore, fin dagli inizi della mia carriera, ma quando mi hanno chiamato i Dardenne non stavo nella pelle! Mi sembrava impossibile…

Qual è stata la sua reazione quando ha letto il copione?
Sono rimasta colpita dalla semplicità e profondità della storia. I Dardenne sono sempre molto accurati nel loro lavoro: vanno dritti al cuore delle cose, senza dare troppa importanza agli aspetti più formali. Questa precisione e questa mancanza di compromessi si percepiscono già in fase di sceneggiatura.

Come descriverebbe Jenny, il suo personaggio?
E’ un’eroina dimessa, senza eccessi: una cosa di lei che mi piace molto. Non sappiamo quasi niente della sua vita personale. Secondo me, il film racconta la rinascita di Jenny, che torna alla vita e a se stessa tendendo una mano agli altri. E’ un’ascoltatrice empatica, che non guarda mai nessuno dall’alto in basso.

In che modo la regia dei Dardenne l’ha aiutata a interpretare questo personaggio?
Quando sei in sintonia col regista non c’è bisogno di tante parole, e noi ci capivamo al volo. I fratelli Dardenne non danno importanza  all’elemento psicologico: per loro quello che conta è il corpo, l’ascolto, le azioni dei personaggi. Io ho dovuto concentrarmi su quelli che potevano sembrare piccoli dettagli, ma che in realtà non lo sono: come si infilano i guanti di lattice? Come si fa un’iniezione? Ero così occupata a fare queste cose nel modo giusto, che non avevo tempo di pensare ai sentimenti di Jenny. La mia interpretazione doveva essere “invisibile”: qualsiasi altra cosa sarebbe stata completamente fuori luogo.

In La ragazza senza nome, come in tutti gli altri film dei Dardenne, il contesto sociale è un elemento chiave.
Mi piacciono i film che raccontano il mondo di oggi. I personaggi sono influenzati dal loro status sociale. E’ questo che definisce la scelte che fanno nella vita, la fiducia che ripongono in se stessi e negli altri, la loro salute… Alcune classi sociali sono poco rappresentate nel cinema di oggi. E’ fondamentale che ci siano registi come i Dardenne che affrontano questo tema.

I Dardenne sono noti per fare molte prove con gli attori. Qual è stata la sua esperienza nel processo di preparazione e durante le riprese?
E’ vero, hanno la fama di sfinire gli attori con un numero infinito di ciak, ma non è vero. A loro non interessa che metti in mostra le tue doti interpretative. Avevo costantemente l’impressione che le cose procedessero molto in fretta: abbiamo avuto un mese di preparazione, prima delle riprese, che è stato fondamentale. In questa fase erano presenti tutti i membri del cast, e questo ha fatto sì che anche quelli che avevano poche scene si siano sentiti subito parte integrante del progetto.

Che altro succede in questa fase?
Durante le prove, i due registi si concentrano intensamente sul modo in cui gli attori si muovono, sulle situazioni in cui vengono a trovarsi, sui movimenti della macchina da presa. Fondamentalmente, è così che prende forma il vero e proprio lavoro registico: ogni volta che emerge un problema, ci si ragiona e si cerca una soluzione, per non dover perdere tempo sul set. La preparazione mi ha aiutato a sbarazzarmi delle mie preoccupazioni, anche se naturalmente un po’ di tensione c’è sempre…

Interpretare un medico richiede capacità tecniche specifiche?
Durante tutta la preparazione sono stata affiancata da una consulente, Martine, che è un vero medico. Lei mi ha insegnato a fare certe procedure e il modo giusto di interagire con i pazienti, anche se comunque non esiste una formula magica.

Che cosa pensa che le resterà di questa esperienza?
Con i Dardenne mi sono avventurata nel territorio “controintuitivo”, ed è stata un’esperienza fondamentale. Loro hanno visto in me qualcosa che andava oltre la mia rabbia. La rabbia fa parte di me, ma c’è dell’altro.

In La ragazza senza nome, lei interpreta un ruolo da protagonista in un film in concorso al Festival di Cannes.
Il Festival di Cannes mette in luce un certo tipo di film ed è importante per quei film. Ma la cosa di cui vado più fiera non riguarda me. La prima cosa di cui sono orgogliosa è il film. E lo sarei altrettanto se non fosse a Cannes.



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