The Square



Nel museo delle “meraviglie” d’arte moderna e contemporanea la migliore installazione consiste in una scelta di campo, netta e incontrovertibile: “Mi fido”; “Non mi fido”.
Tutti, sembra, siano propensi al fidarsi.

L’arte, gli artisti (artiste), i pensatori (pensatrici) e intellettuali, scrittori (scrittrici), poeti (poeta/poetessa e in modo contrario poeta/poeto… basta col politicamente corretto, desinenza libera, che ognuno si senta libero di dare sfogo alle proprie ossessioni in piena libertà purché sia grammaticamente corretto) costituiscono l’unico antidoto, più o meno, valido per contrastare il grande inganno chiamato natura umana. Per quanto ci si possa sforzare di propugnare o intestare onestà intellettuale, lealtà e sincerità, in concreto la sostanza risulta sempre altro, se va bene il loro contrario. Probabilmente, una specie d’istinto innato ci porta a pensare che sia giusto comportarsi “bene” poi però si innesca, magari anche inconsciamente, il sentimento opposto (giusto per bilanciare e rimanere in equilibrio). In fondo che vuol dire comportarsi bene? Chi può stabilire cosa sia il bene?
Ricordo che tanti anni fa, nella cattolicissima Irlanda, era tassativamente proibito fare l’elemosina. Che vadano a lavorare invece di infastidire i turisti romantici ed ingenui.
Non per dire, ma quando è troppo è troppo. Hanno anche le pretese, vengono qui e vogliono imporre loro le regole. Se uno ha fame accetta tutto, altroché il chicken-ciabatta senza cipolle.
Il lattante piange e si lamenta durante una riunione di lavoro. Ma che ci fa un neonato in una riunione di lavoro? Un cerebroleso disturba durante la conferenza di presentazione di un’opera d’artista. È necessario portare uno squilibrato ad una conferenza stampa?
Ogni vernissage prevede un ragguardevole buffet.
C’è chi dice che siamo tutti uguali davanti agli uomini e a dio. Per dire si potrà anche dire.
C’è chi pensa che se qualcuno ha bisogno di aiuto esso va aiutato. Per pensare si potrà anche pensare.
C’è chi è profondamente ma molto profondamente convinto di essere virtuoso, anzi il più virtuoso, il più integerrimo e onesto di tutti. Che male c’è a pensarlo?

Egocentrici, adeguati alla vita; adeguati perché i soli con tali caratteristiche, seppur meschini, tollerano le frustrazioni del mancato carisma naturale, dall’alto di questa, seppur fantasiosa superiorità, è tale il sentore profondo, si rincorre il miraggio della giustizia ovvero si sviluppa un autentico convincimento di essere onesti ed imparziali per dono divino. Può essere la vanità sinonimo di giustizia?
Rischio di cadere nella trappola, anch’io, nella trappola della presunzione però sento, con tutta l’onesta intellettuale del caso, di poter affermare di possedere un'insana invidia nei confronti di questi eletti: essi non dovranno mai subire un giusto processo morale e anche giudiziario poiché scevri dall’obbligo di accettare confronti. Il solo pensiero contraddittorio scatena una resistenza assoluta, dispotica. Entra in gioco l’incomunicabilità, legittimando feroci difese e sostenendo contro accuse sleali costituite da vere e proprie manie di persecuzione.
Ovviamente quando si sbaglia, la responsabilità è di tutti: gli altri.

Noi, voi, loro egoisti.
Noi, voi, loro egocentrici, vanitosi.
I sensi di colpa? Ma per cosa? La fuga, l’oblio.


regia
Ruben Östlund
sceneggiatura
Ruben Östlund
fotografia
Fredrik Wenzel
montaggio
Ruben Östlund
Jacob Secher Schulsinger
musica
nome cognome
scenografia
Josefin Åsberg
costumi
Sofie Krunegård
trucco
Erica Spetzig
suono
Andreas Franck
casting
Pauline Hansson
interpreti
Claes Bang… Christian
Elisabeth Moss… Anne
Dominic West… Julian
Terry Notary… Oleg
Christopher Læssø… Michael
Marina Schiptjenko
Elijandro Edouard
Daniel Hallberg
Martin Sööder
John Nordling
Copos Pardalian
Lilianne Mardon 
Lise Stephenson Engström
(…)
produttore
Erik Hemmendorff
Philippe Bober
Tomas Eskilsson (esecutivo)
Agneta Perman (esecutivo)
Dan Friedkin (esecutivo)
Bradley Thomas (esecutivo)
Anna Carlsten (direttore di produzione)
Isabell Wiegand (coproduttore)
Sarah Nagel (coproduttore)
Katja Adomeit (coproduttore)
produzione
Plattform Produktion AB (Svezia)
Essential Film (Germania)
Parisienne (Francia)
coproduzione
Film i Väst
Sveriges Television,
Imperative Entertainment
Arte France Cinéma
ZDF Arte
distribuzione
Teodora Film





Il quadrato è un santuario di fiducia e amore, entro i cui confini tutti abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri”




Ruben Östlund



(da pressbook)

NOTE DI REGIA
di Ruben Östlund 




Diffidenza crescente
Nel 2008 è stata creata per la prima volta in Svezia un’area residenziale privata e chiusa all’esterno, a cui solo i proprietari possono accedere. È solo uno dei molti segni del fatto che le società europee stanno diventando sempre più individualistiche, via via che il debito pubblico cresce, la spesa sociale diminuisce e le differenze tra ricchi e poveri si allargano sempre di più. Anche in Svezia, un tempo considerata la società più egualitaria al mondo, la crescente disoccupazione e la paura del futuro hanno spinto le persone a diffidare degli altri e della società stessa.

Effetto spettatore”

Durante le ricerche fatte per il mio film PLAY, in cui raccontavo di bambini che rapinano altri bambini, mi sono imbattuto più volte nell’incapacità generale di offrire aiuto in uno spazio pubblico. Le vere rapine che hanno ispirato il film hanno avuto luogo di giorno in una città tranquilla come Göteborg, nei centri commerciali, sul tram, nelle piazze e gli adulti non hanno nemmeno reagito, malgrado molti di questi eventi accadessero proprio vicino a loro. Questa forma di inibizione della possibilità di aiutare il prossimo quando sono presenti anche altre persone, viene chiamato dagli psicologi e sociologi “effetto spettatore” (bystander effect): la probabilità che qualcuno presti il suo aiuto è inversamente proporzionale al numero di persone presenti,a causa del meccanismo della “diffusione di responsabilità” (diffusion of responsibility) che in molti casi prevale nei grandi gruppi.



John Nordling, Claes Bang

Elijandro Edouard

(da pressbook)

Un’altra epoca
Quando mio padre era ragazzo, negli anni ’50, le società occidentali dovevano ancora avere un senso di responsabilità condivisa. I suoi genitori lo lasciavano andare da solo a giocare al centro di Stoccolma all’età di sei anni, mettendogli una targhetta con l’indirizzo intorno al collo nel caso si fosse perso. Questo ci ricorda che all’epoca glialtri adulti erano visti come membri degni di fiducia all’interno di una comunità, capaci di aiutare un bambino nei guai. Il clima sociale di oggi non sembra aumentare la coesione di gruppo, né la nostra fiducia in generale nella società, al punto che tendiamo a vedere negli altri adulti una minaccia verso i nostri bambini. È con questi pensieri in mente che alcuni anni fa, insieme a Kalle Boman, produttore e professore di cinema all’università di Göteborg, ho sviluppato l’idea di THE SQUARE come progetto artistico orientato sul tema della fiducia all’interno della società e del bisogno di riconsiderare alcuni valori attuali.

All’origine del film
Il titolo del film è preso proprio da questo progetto, la cui prima esibizione risale all’autunno 2014 al Vandalorum Museum di Värnamo, città nel sud della Svezia. L’installazione è poi diventata permanente al centro della piazza della città: se qualcuno si trova al centro del quadrato illuminato a led, ha il dovere di agire se qualcun altro ha bisogno di aiuto. Anche la nostra mostra allestita a Värnamo, poi
ripresa nel film, ruota intorno all’idea che l’armonia sociale dipende da scelte semplici che ognuno di noi compie ogni giorno: i visitatori del museo dovevano scegliere tra due porte, una con scritto “I trust people”, l’altra con “I mistrust people” (mi fido/non mi fido delle persone). La maggior parte del pubblico sceglieva la prima, ma poi aveva i sudori freddi quando gli veniva chiesto di lasciare cellulare e portafoglio sul pavimento del museo... Questa contraddizione illustra quanto sia difficile comportarsi seguendo i propri principi. 

Elisabeth Moss… Anne

Dominic West… Julian

(da pressbook)

Valori e azioni
In The Square ci troviamo di fronte alla debolezza della natura umana: quando proviamo a fare la cosa giusta, la parte più difficile non è essere d’accordo su dei valori comuni, ma comportarsi davvero secondo quest’ultimi. Ad esempio, come dovrei pormi verso i mendicanti se voglio promuovere una società più giusta e egualitaria dove la distanza tra ricchi e poveri scompaia? Dovrei mantenere uno stile
di vita privilegiato che mi permette di dar loro qualcosa ogni giorno o dovrei cambiarlo radicalmente in modo di ristabilire un equilibrio maggiore tra me e loro? La crescita della povertà e del numero dei senzatetto nelle città occidentali ci presenta questo tipo di dilemma ogni giorno.

Una contraddizione vivente
Anche il protagonista del film, Christian, è un personaggio con vari aspetti contraddittori: è insieme idealista in quello che dice e cinico in quello che fa, è un uomo di potere ma anche un debole e via dicendo. Come me, è un padre divorziato con due figlie, come me lavora nel campo della cultura ed è sensibile alle domandi sociali e esistenziali poste dall’installazione “The Square”. È convinto che quest’ultima sia un’idea eccezionale e spera davvero che l’arte possa cambiare il modo di pensare delle persone, ma al tempo stesso è un camaleonte sociale che sa bene come interpretare il suo ruolo di alto profilo nelle istituzioni, districandosi tra le aspettative di sponsor, artisti, visitatori, ecc. Christian affronta interrogativi che tutti affrontiamo, circa il prendersi delle responsabilità, il fidarsi del prossimo e l’essere degno di fiducia, sul fatto di comportarsi moralmente. E quando si trova di fronte a un dilemma, le sue azioni entrano in conflitto con i principi per cui si batte: Christian appare allora come una contraddizione vivente, come molti di noi.

Claes Bang… Christian


"The Square"


(da pressbook)

La controversia necessaria
Con il suo approccio satirico, The Square porta alle estreme conseguenze le peggiori tendenze dei nostri tempi, come il modo in cui i media ignorano le proprie responsabilità nell’amplificare i problemi di cui parlano. Nel film, i PR assunti dal museo sostengono che l’idea alla base dell’installazione “The Square” sia troppo “perbene” e nessuno sarebbe interessato: per spingere i giornalisti a scriverne occorre una controversia e il progetto secondo loro sembra mancare di un aspetto conflittuale. Anni fa, il codice etico della stampa avrebbe impedito a un giornale o a un’emittente televisiva di mostrare immagini scioccanti, di dubbia provenienza o manipolate. Ma da quando le spese e i posti di lavoro sono stati tagliati nella maggior parte delle testate e i giornalisti sono rimasti sopraffatti di lavoro, i media si sono affidati a un crescente sensazionalismo, diventato ormai la norma: finché una foto o un video hanno un contenuto esplosivo, non importa di quale contenuto si tratti e i social media ne rilanciano la diffusione in tutto il mondo.

Il cinema e il pensiero critico
The Square prova ad affrontare tali questioni attraverso l’ironia e usando spesso una comicità dell’assurdo. La clip ovviamente falsa creata dai PR del museo per promuovere la mostra esemplifica il ruolo dei media nel modo in cui noi guardiamo alla realtà e la fraintendiamo. Credo sia essenziale analizzare questo ruolo, perché le immagini in movimento restano il più potente mezzo d’espressione che abbiamo mai avuto, nonché il più pericoloso che mai. Al tempo stesso, un mezzo come il cinema può fornirci una straordinaria chiave d’accesso al mondo e a nuove esperienze, stimolando il pensiero critico verso aspetti della vita che diamo per scontati.--

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The Square guida le nomination agli European Film Awards

EUROPEAN FILM AWARDS 2017
di David González

04/11/2017 - Il film di Ruben Östlund è in corsa per cinque premi, On Body and Soul di Ildiko Enyedi segue con quattro candidature




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