L'equilibrio


Non credo nella buona fede autoimposta perché fuorviante ma credo in quella innata. Credo che la leggenda talmudica dell’uomo giusto sia vera. Credo che il mondo e l’umanità non avrebbe futuro senza questa presenza occulta. Incidentalmente questo effetto volano si scontra col proprio opposto, ovvero, la minoranza (“giusta”) fatica a tenere il freno nei confronti di quell’altro effetto che tendiamo a considerare nefasto. Come si può stabilire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato non lo possiamo sapere ed è questo il limite dell’umano pensiero, a seconda dei punti di vista ognuno considera il proprio quello corretto, quindi ci si deve accontentare, per quanto possibile, della logica come frutto dell’osservazione traendone il massimo della convenienza (utilità).
Ovviamente questo è un preambolo di comodo per semplificare e per non fare una brutta figura, questo argomento rischia di essere molto ambiguo quindi la delicatezza nel trattarlo serve ad evitare equivoci ed incomprensioni fastidiose. Se la massa considera certe condizioni ipoteticamente negative o scorrette ma inevitabili o anche necessarie vuole forse dire che siano per forza sbagliate? Se dopo un certo ragionamento, la conclusione della massa (popolo, maggioranza) preferisce accettare un certo status quo rispetto ad un altro, chi ha ragione?
Credo che alla fine tutti quanti ce la suoniamo e ce la cantiamo: penso (male) che troppo spesso accettiamo di percorrere, malgrado tutto, la strada più facile, dove si preferisce acconsentire piuttosto che lottare evitando così rischiosi e sconvenienti inciampi. Meglio lasciare tutto così com’è, cedere ad altri “scompiglio e tarantella” e tirare a campare.
Nel film, don Giuseppe vuole dirazzare e decide di percorrere una personale via crucis (Marra confessa di voler accostare il suo protagonista a Cristo) seguendo una spiritualità sincera e pura ben lontana dalle direttive della chiesa che, per mantenere il suo “potere”, preferisce assecondare certe regole della camorra.



Il film doveva essere un documentario sul lavoro dei preti cosiddetti “di frontiera” ma evidentemente “incompatibilità ambientali” (Marra) ne hanno reso impossibile la realizzazione. Lo stesso problema lo ha rivelato anche Leonardo Di Costanzo, il quale ha confessato di non aver potuto realizzare il suo film L’intrusa in forma di documentario.

Ultimamente ci si domanda, sempre più spesso, se Napoli e la napoletanità stiano diventando un autonomo genere del cinema italiano. Probabilmente sì, sotto le più svariate forme e sottogeneri, visto anche il moltiplicarsi delle produzioni in questi ultimi tempi nei territori intorno alla città campana.

regia
Vincenzo Marra

sceneggiatura
Vincenzo Marra

fotografia
Gianluca Laudadio

montaggio
Luca Benedetti
Arianna Zanini

suono
Daniele Maraniello

scenografia
Flaviano Barbarisi

costumi
Annalisa Ciaramella

interpreti
Mimmo Borrelli… don Giuseppe
Roberto Del Gaudio… don Antonio
Lucio Giannetti… Gaetano
Giuseppe D’Ambrosio… Saverio
Francesca Zazzera… Assunta
Autilia Ranieri… Antonietta
Paolo Sassanelli… il Vescovo
Astrid Meloni… Veronica
Francesco Pio Romano… Daniele
Sergio Del Prete… Enzo
Vincenza Modica… Maria
(…)

produttore
Luigi Musini
Olivia Musini
Cesare Apolito
Renato Ragosta
Gianluca Arcopinto (“produttore creativo”)

produzione
Cinemaundici
Lama Film
Rai Cinema
Ela Film
MiBACT – Ministero dei Beni Culturali (contributo)

distribuzione
Warner Bros. Pictures





note di regia

Da quando ho iniziato a fare cinema circa 20 anni fa, ho custodito l'idea di voler fare un film sulla religione, un film su un cammino spirituale.
L'idea è sempre stata "ossessiva" e cioè quella di raccontare un percorso cristologico ambientato nel reale, ma pieno zeppo di metafore e allegorie.
Già nel mio secondo cortometraggio LA VESTIZIONE girato nel 1998 , avevo raccontato la storia di un ragazzo che prima di indossare gli abiti talari va in crisi .
Con gli anni la possibilità di tornare ad avvicinarmi a questi temi così importanti è tornata molto forte dentro di me.
In un primo momento, ho pensato che il mezzo migliore potesse essere il documentario.
Seguendo una metodologia di lavoro già collaudata in passato, ho iniziato a confrontarmi con il reale e così mi sono messo a battere la periferia della mia terra con grande meticolosità, metro su metro.
La ricerca ad un tratto è caduta su quella parte di territorio denominato "Terra dei Fuochi" e sui sacerdoti che vivono e "lavorano" in quella zona .
Come spesso accade la realtà che è apparsa davanti ai miei occhi, ha superato e di molto l'immaginazione .

Molte delle situazioni "incredibili" mostrate, in seguito, nel film, all'improvviso
apparivano reali davanti ai miei occhi, era il primo passo della messa in discussione del come raccontare questa storia Il dovermi confrontare giorno per giorno, con territori di confine, pieni di contraddizioni, di dolore, di vita e di morte, l'aver conosciuto e aver stretto rapporti con i sacerdoti di quella zona, ma soprattutto come detto, aver toccato con mano realtà inimmaginabili, impossibili da riprendere con l'occhio invadente della
telecamera del documentario, mi ha portato a cambiare l'angolatura, avrei dovuto fare un film di finzione .
Così è nato L'equilibrio sull'idea di uno "scontro" ideologico e spirituale di due sacerdoti che vivono il loro percorso in modo diverso.
L'uno, Don Antonio, che cercando di fare del bene e tutelare le buone persone che vivono in quel territorio, è costretto a fare dei compromessi con la propria coscienza, con la realtà delle cose che lo circondano, l'altro invece, Don Giuseppe per formazione, anima e coscienza, non riesce a "chiudere gli occhi" e deve andare avanti senza compromessi Il film racconta il dilemma su quale sia la scelta giusta da fare in una terra
"abbandonata".
Per disegnare il protagonista del film " Don Giuseppe", interpretato dall'ottimo Mimmo Borrelli, mi sono ispirato non solo all'osservazione della realtà, ma anche ad un percorso cristologico. Don Giuseppe è sostanzialmente un uomo che non ha paura, non teme, lui come un monolite va avanti, la sua luce è la fede e i principi in cui ha sempre creduto, come tutti gli esseri umani, però è pervaso da dubbi e tentazioni, ma rispetto alle scelte, al suo percorso spirituale non si fa mettere in crisi da niente e da nessuno, pur di aiutare il prossimo.
L'idea di come poter sviluppare il concetto di paura è stato da sempre un ossessione per questo film.
Viviamo un momento storico dove nella quotidianità siamo bloccati dalla paura, ogni giorno di più abbiamo paura del futuro, di deludere e di rimanere delusi, di rimanere da soli, del giudizio conformista, di dover esprimere il nostro dissenso, figuriamoci il dover "affrontare" situazioni molto più grandi di noi come in alcuni territori la malavita organizzata, le malattie, in definitiva la morte.
Don Giuseppe non cerca il martirio, non vuole emulare Gesù, ma semplicemente va avanti passo dopo passo, cercando di essere coerente con se stesso e con le cose normali della vita.
Lui deve salvare una bambina e pur di fare questo è pronto a subirne le conseguenze senza paura. Per cercare di alzare l'asticella della difficoltà e sentendo il bisogno di mettermi ancor più in gioco a livello stilistico, ho pensato che il modo migliore per fare questo film, fosse l'uso esclusivo del piano sequenza e il mettere in scena il protagonista in tutte le inquadrature del film.
Il film non dà soluzioni né certezze, non ha una verità precostituita al suo interno, ma apre al dubbio e alla discussione, lo stesso che sul set i miei due meravigliosi "sacerdoti" Mimmo Borrelli e Roberto del Gaudio, hanno continuato ad interpretare anche a luci spente, anche quando andandosene a fine giornata, erano tornati ad indossare i comodi abiti civili dismettendo quelli talari, tante volte li ho lasciati camminare soli sentendo stralci delle loro conversazioni, su chi avesse ragione Don Antonio o Don Giuseppe.

Vincenzo Marra


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